Laudato si' e i rifugiati climatici
Quando a
giugno è uscita, dopo un'attesa trepidante, l'enciclica sociale di Papa
Francesco sull'ecologia ambientale e umana, l'ho scaricata subito e, leggendola
a grandi linee, era facile collegare le situazioni presentate nell'enciclica
certe realtà critiche che nell'altipiano si vivono quotidianamente; l'enciclica
"Laudato si'" le enumera con molta lucidità. Ho pensato, quindi, di
commentare il documento attraverso la vita in carne ed ossa della nostra gente.
E proprio oggi, che mi accingo a redarre il primo di una
serie di articoli, trovo in Twitter un dato da capogiro: nel 2014, 19,4 milioni
di persone hanno dovuto sfollare di fronte ai disastri climatici. Insomma,
l'argomento è attuale e molto diffuso. Iniziamo, dunque, citando l'enciclica e
commentandola con esempi concreti.
"i
cambiamenti climatici danno origine a migrazioni di animali e vegetali che non
sempre possono adattarsi, e questo a sua volta intacca le risorse produttive
dei più poveri, i quali pure si vedono obbligati a migrare con grande
incertezza sul futuro della loro vita e dei loro figli.
È tragico l’aumento dei migranti che fuggono la
miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come
rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita
abbandonata senza alcuna tutela normativa" (Laudato si', 25).
Siamo in
primavera, ormai. Mi alzo presto, come ogni mattina: il sole ormai fa capolino dalla
collina, e andando alla latrina nel cortile, mi accorgo di un’aria più pungente
del solito. Passando vicino all’orto, vedo che le foglie delle zucche, ormai in
pieno sviluppo con il caldo diurno, sono un po’ strane: questa mattina presto è
passato il cattivo gelo nel nostro orto. Nelle ore seguenti vediamo come le
foglie di quasi tutta la verdura sono bruciate dalla gelata. Dà un po’ di
tristezza, dopo mesi di cure e lavoro, ma pazienza per noi: dobbiamo ancora
vedere di peggio.
La
primavera era cominciata promettendo una stagione favorevole, con alcune piogge
isolate che avevano irrigato il mais, ormai alto 20 centimetri. Lo stesso
giorno ci rechiamo a Pajchilla per una celebrazione: gli uomini sono stanchi e
con il volto scuro: hanno passato le prime ore del giorno accendendo fuochi nei
campi per scongiurare la gelata, ma il vento freddo assassino ha aggredito le
giovani piante fatalmente: ormai non è più il tempo per seminare, che fare?
“Cosa
faremo, hermanita? Ci affideremo al buon Dio per avere da mangiare quest’anno” dice
Eloy preoccupato, stanco, ma confidando nella Provvidenza.
Questo
buon padre di famiglia non è migrato: con il suo camioncino fa servizio di
trasporto al mercato e cerca qualche lavoretto da muratore nella zona, in più i
suoi figli sono andati a Santa Cruz per un lavoro stagionale, nelle vacanze
della scuola. Ma molti altri non hanno avuto scelta.
Qualche
tempo dopo, di ritorno da Puna diamo un passaggio ad una signora di Yascapi, comunità
non lontana da Vilacaya. Dopo un tempo di silenzio, comincia a raccontarci che
era stata a Puna, al Comune, per chiedere aiuti, poiché la grandine aveva raso
al suolo interi campi della comunità. La sua angoscia ci ha toccato nel
profondo, come figlia di contadini so cosa significa vedere un raccolto
distrutto dal mal tempo, ma qui nell’Altipiano le situazioni sono più estreme,
sia perché il cambio climatico ha infierito drasticamente sulle condizioni e
possibilità di un’agricoltura di sussistenza (l’imprevedibilità dei fenomeni,
la mancanza di regolarità delle piogge è letale alla campagna), sia perché la
gente non ha istituzioni di appoggio, anche se oggigiorno il governo ha
istituito un’assicurazione per i campi che rimborsa un minimo agli agricoltori,
ma non è sufficiente. Unica strada possibile è migrare e cercare un lavoro nelle
città o in Argentina, con tutto ciò che significa essere migrantes ed essere
delle famiglie divise.
Leggendo l’enciclica
di Papa Francesco, che ricorda che i primi a pagare i danni ambientali sono i
poveri, mi vengono in mente molti volti, bruciati dal sole e dal vento,
consumati dal lavoro già a 40/50 anni, vittime di una condotta irresponsabile
di pochi paese ricchi, che ancora si chiudono in un’indifferenza imperdonabile.
Laudato si' e i rifugiati climatici
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