Saper dire “addio”
Come spesso ci capita, siamo partite presto quel martedì
mattina, per arrivare a Ñuqui in orario ed iniziare i nostri incontri con i
ragazzi della scuola. Appena scendiamo dalla jeep, ci viene incontro il professor
Raúl, con gli occhi rossi per il pianto: “Ho una brutta notizia: ieri
pomeriggio è morto un nostro ragazzo delle superiori mentre si stava
allenando”.
Si chiamava Remberto, aveva solo 17 anni, ma qui non è raro
che i ragazzi muoiano giovani, stroncati da un infarto: il mal di Chagas,
endemico nella zona, rovina il cuore e lo rende fragile. Ciò non toglie il
dolore e lo sconcerto per la perdita di un adolescente, nel pieno delle sue
energie. Il Direttore ci ha pregate di accompagnare il funerale, che si è
svolto nella vicina comunità di Pampa Tambo.
Ogni cultura, la sapienza di ogni popolo, ha saputo trovare
gesti e tempi per vivere il dolore della separazione. In questo contesto
contadino quechua, nel funerale ci sono elementi importanti comuni al momento
festivo: il cibo, l’alcohol e la coca. Forse sarebbe meglio dire che queste
cose fanno parte della vita della gente, nel momento della gioia e nel momento
del dolore, ossia in tutti i tempi significativi della storia di una persona.
Siamo arrivate a Pampa Tambo, e non è stato difficile
trovare la casa della famiglia di Remberto: il fumo ci ha indicato il luogo:
infatti, molte donne stavano preparando grande pentole di cibo, da offrire ai
convenuti. Un signore ci spiega che sono le famiglie dei parenti, ognuna
prepara un piatto. Pertanto, se ci sono undici famiglie, riceverai undici
porzioni di cibo. Mai si rifiuta il cibo offerto, però si può mettere in borse
di plastica e portarselo a casa, cosa che abbiamo fatto, perché le famiglie
erano 4 e le porzioni di ciascuna molto abbondanti.
Mentre si aspetta il cibo, le persone entrano nella stanza
dove si trova la bara e i familiari. Si fanno le condoglianze, si accettano le
bevande che sono offerte. Sono bibite, ma soprattutto bevande alcoliche, bevute
in abbondanza. Le persone ch’allano, cioè versano una parte del liquido alla
terra, e il resto lo bevono. Passa anche una borsa di foglie di coca, che la
gente mastica, ma una o due foglie sono bruciate alla fiamma della candela,
messa vicina alla bara. Il profumo della coca bruciata è intenso, simile a
quello dell’incenso. E’ un tempo in cui si fa silenzio, in cui alle volte si
parla per lenire il dolore altrui, o per esprimere il proprio.
Quando il pranzo è terminato, allora inizia
l’accompagnamento al cimitero, con la processione. Arrivati al luogo della
sepoltura, prima di calare la bara nella terra, si ch’alla la fossa e si
gettano rametti verdi. Ci sono tempi e gesti ben definiti e coordinati da un
uomo, probabilmente incaricato di seguire questi momenti funebri. Calata la
bara nella fossa, tutti si accalcano per gettare un pugno di terra, prima che i
becchini ricoprano di terra il feretro.
il sole tramonta sulla Muela di Nuqui quando terminiamo il funerale |
E’ stato un giorno lungo, per l’intensità delle emozioni:
una giovane vita stroncata improvvisamente è qualcosa che è difficile da
accettare. Lacrime in abbondanza, pianto a dirotto di giovani compagni e
famigliari straziati. Una cultura che con i suoi gesti, i suoi ritmi, con la
fede in Gesù Cristo ben radicata nei cuori della gente tenta di insegnare alle
persone come saper dire “addio”.
Saper dire “addio”
Reviewed by abconsolata
on
12:42
Rating:
Nessun commento: