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Copacabana, tradizione e modernità

E’ un’esperienza che si vive in quasi tutti i santuari: lo spazio sacro e il commercio coesistono, a volte stonando, a volte bisticciando, a volte convivendo pacificamente.
A Copacabana, però, le cose si complicano: un luogo sacro da millenni, ha accolto situazioni politiche e religiose differenti, pur rimanendo la sacralità, anzi stratificandosi. In questo momento convivono per lo meno due dimensioni: la spiritualità originaria andina e la religiosità cattolica, che – come accennato nel precedente post – vivono in armonia, nell’esistenza delle persone dell’altipiano.
Vi è poi una terza realtà che sta sorgendo, da pochi anni a questa parte: non direi che si tratta del commercio, perché il popolo andino da sempre è molto intraprendente in questo frangente. Lo chiamerei piuttosto un consumismo spirituale che attacca la religiosità, cattolica ed originaria.

vista panoramica di Copacabana, dall'Osservatorio degli Inkas
Il rospo, le candele colorate e compagnia bella
Copacabana è un luogo meraviglioso che attrae turisti da ogni parte del mondo: visitano le bellezze naturali, in particolare le isole. Negli spazi della ritualità incontriamo solo gente autoctona: persone di cultura quechua e aymara, che gremiscono il Santuario e le due colline, Cerro de la Luna e Cerro del Sol. Se i turisti fanno esperienza delle cholitas, le donne vestite tradizionalmente, che vendono souvernirs e persino pronunciano alcune parole in inglese, ai bordi dei sentieri dell’Isola del Sole, i quechua e gli aymara, che vengono ai luoghi sacri dell’Altipiano sono ugualmente bombardati da una moltitudine di venditori di tutti i tipi: chi vende i misteri (le tavolette di zucchero per l’offerta alla Pachamama), chi la legna, chi amuleti di ogni tipo. Chi legge il futuro, chi fa riti di buon auspicio, come gli uomini che portano con una croce gigante, appesa al collo, e che fanno suonare un campanello e usano altri strumenti decisamente sincretistici.

i banchi che riempono tutti gli spazi della cima del Calvario
Persino nella vendita delle candele, ci sono quelle bianche, tradizionali, e poi quelle colorate, ciascuna rigorosamente con un significato preciso: chiedi alla Madonna l’amore? Compra la rossa. Soldi? L’azzurra. Salendo al Calvario, nel Cerro del Sol, i banchi si moltiplicano: miniatura di case, auto, soldi di carta, i cotillons per il momento rituale. La densità di commercio è tanta che davvero stona. Il massimo dell’invasione è stata una cholita che ha interrotto la nostra offerta alla Pachamama per vendere i suoi prodotti.


la scala inka nell'Isola del Sole, che richiama molti turisti
Ma l’espressione più alta del consumismo spirituale è il Rospo, in castellano: Sapo. Una roccia, ai piedi del Cerro de la Luna, che ha la forma dell’animale, a cui la gente va per chiedere fortuna e soldi. Le numerose persone portano con sé una bottiglia di spumante o birra, e la rompono nella roccia. Il rospo nella cosmovisione andina ha un riferimento alla Pachamama, ma in questo caso è pura superstizione, o meglio: un prodotto in più per il supermercato spirituale dei nostri giorni. 

Il Sapo: foto trovata in gooogle, perché all'arrivo con la barca al Sapo,
avevo finito la batteria della macchina :-(


Copacabana, tradizione e modernità Copacabana, tradizione e modernità Reviewed by abconsolata on 01:00 Rating: 5

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