Il charango
Prima della sua ristrutturazione, la Plaza di Potosí (piazza
principale dove si affacciano la Cattedrale, il Municipio e la Polizia, secondo
la struttura urbana tipica delle città sudamericane) presentava un monumento
molto particolare: un charango di legno, sotto il quale era scritto: “Potosí,
la culla del charango”.
Si tratta di uno strumento di piccole dimensioni, a dieci
corde (cinque coppie di corde, per l’esatezza), che assomiglia in parte al
mandolino. La mia attrazione verso questo strumento è stata quasi immediata, e
vi confesso che adesso ne sono innamorata persa. Le mie sorelle di comunità me
ne hanno regalato uno, prima della mia temporanea uscita da Vilacaya, e con i
mesi mi sono messa in dialogo con questa meraviglia, piccola ma potente e molto
versatile.
Sembra che il charango sia l’evoluzione naturale di uno
strumento a corde di epoca coloniale, ma il suo sviluppo è 100% andino, con la
sua origine proprio in Potosí. Importante la sua presenza nella musica
boliviana e peruviana, così come in particolari contesti cileni, argentini ed
ecuatoriani: siamo, cioè, sulla linea di sviluppo della Cordigliera Andina.
Il charango ha subito la stessa sorte dei popoli originari:
legato profondamente all’identità indigena, è stato disprezzato per secoli come
lo strumento degli indios, è solo del XX secolo una sua valorizzazione a livello
internazionale, ad opera di grandi maestri che, oltre a suonare divinamente,
hanno recuperato una tradizione autoctona di grande valore.
Al mercato di Tres Cruces non è raro trovare un signore che
vende charangos artigianali, grezzi, ma che nelle sue mani (e nelle mani dei
possibili acquirenti, o di semplici curiosi) sanno sorprenderti per il timbro
particolarissimo. In Potosí abbiamo conosciuto un liutaio charanghista, il
signor René: il suo laboratorio sa di legno e di arte, e lui è il mago che da
semplici materiali sa costruire ogni tipo di strumento a legno. Ci racconta che
un tempo la cassa del charango era la corazza dell’armadillo (quirquincho in
castellano), animale diffuso soprattutto nella zona di Oruro, oggi specie protetta,
perciò è proibita la costruzione di charango in maniera tradizionale, e
immagino che i quirquinchos abbiano tirato un sospiro di sollievo.
Oggi tutto
lo strumento è costruito totalmente in legno, come la chitarra. Il mio charango
– che si chiama Grover – ha un motivo sul retro che ricorda un armadillo.
Ma veniamo dunque alla mia esperienza con il charango: per
chi arriva dalla chitarra, la prima impressione che ha è quella di trovarsi con
uno strumento piccolo, troppo piccolo. Se nella chitarra ci si appoggia alla
cassa e alle fasce, qui bisogna riprogrammarsi sul piccolo spazio e premere lo
strumento al petto. E poi, una rivoluzione: le corde non sono poste dalla più
grave alla più acuta, ma in ordine non crescente (la penultima è la seconda in
altezza, e la centrale è uguale alla prima, e la sua compagna un’ottava sotto).
Questo significa che non si può impostare un arpeggio usando un basso della
parte alta e le corde della parte bassa per il resto del disegno musicale. E’ tutto da studiare, forse persino il
concetto di arpeggio.
Ho studiato tanti anni piano e organo, e nonostante tanti
sforzi non sono mai riuscita ad esprimermi attraverso la tastiera, cosa che
invece mi viene molto bene alla chitarra, me lo dice anche la gente. Anche i
fiati hanno esercitato in me tanto fascino, ma nemmeno quelli sono strumenti “miei”.
Vi lascio con la dimostrazione di come il charango si adatti ai più diversi stili musicali: questa è un'esecuzione di un pezzo classico. In Youtube potrete trovare tutti i generi, da quelli antichi ai più moderni, passando per le diverse tradizioni musicali:
Il charango
Reviewed by abconsolata
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