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Come la pioggia cadrai (meditazione d'Avvento)

Domenica 20 novembre, solennità di Cristo Re. Termina un anno liturgico e ci lanciamo verso l’Avvento. Non abbiamo Messa questa domenica, ma saliamo al Calvario con tutta la comunità di Vilacaya: bambini, mamme, papà, e anche le nonne, che – invitate a rimanere sotto – insistono e con molta fatica raggiungono la cima della collina che vigila su Vilacaya. Le autorità preparano le statue di San Giovanni e dell’Addolorata sulle portantine, e si parte: queste due statue escono dalla Chiesa solo il Venerdì Santo e, in casi particolari come questo, quando c’è bisogno di pioggia.
“Cristo del Cielo, agua Tatay!” (Cristo del Cielo, acqua, mio Signore!) pregano i bambini. Le donne intercalano con la preghiera litanica propria del tempo di Quaresima: le Wataqaminas sono le intermediarie tra il popolo assetato e il Dio del Cielo.

al Calvario, chiedendo il dono della pioggia
Il calore è fortissimo, arriviamo alla cima molto stanchi. I cactus, nel nostro cammino, ci regalano coraggiosi fiori che, nonostante la siccità, vogliono gridare la vita. Ma la terra è veramente secca, riarsa: come si presenta, la Pachamama già grida al Dio della vita il dono dell’acqua.
Il tempo di Avvento coincide nell’Altipiano al momento critico in cui la natura aspetta con ansia la pioggia: le piante, gli animali e le persone tendono la loro vita verso un cielo senza nuvole, aspettando il dono dell’acqua.

Anche nella Bibbia l’immagine della terra secca e riarsa è ben nota, poiché il popolo di Israele viveva in una terra semidesertica come la nostra. Il Salmista ha un’intuizione particolarmente profonda e felice, quando dice che l’anima cerca Dio come la terra arida (Salmo 62). La sete, l’attesa della pioggia sono sensazioni forti che fanno tendere tutta l’esistenza alla ricerca dell’acqua. Suor Gabriella dice che in questo periodo persino i pensieri si prosciugano, ed è vero: non c’è fibra umana che non si ponga in attesa dell’acqua. Il corpo è pesante, i pensieri “asciutti” e l’anima… forse l’anima si rivela qui nel suo stato di tensione continua verso il suo Creatore. Solo che, nel rumore e movimento della vita esteriore, il più delle volte non ce ne rendiamo conto. Eppure San Paolo lo dice: “Lo Spirito grida in noi Abbà”.

Il Tempo dell’Avvento ci ricorda questa dimensione spirituale di continua tensione verso il Creatore: l’attesa del Signore che viene è anche questo movimento naturale dell’anima. I nostri nasi all’insù, guardando le nuvole che arrivano e sperando che siano foriere di pioggia, pure è un’icona di questa attesa.



Se veramente prendessimo contatto con questa tensione dell’anima a Dio, molte cose cambierebbero: la preghiera non sarebbe solo un dovere o un momento di routine, le pratiche cristiane sarebbero un pezzetto di Paradiso già pregustato in terra. L’anima come terra riarsa e arida dice una dimensione di bisogno: molte volte viaggiamo come esseri autosufficienti, ma noi abbiamo bisogno di Dio, così come la terra ha bisogno dell’acqua. Ho bisogno di Dio, ne ho un bisogno vitale e centrale, il resto dei bisogni sono solo futilità al confronto.

L’Avvento ci parla anche di una venuta: la venuta di Gesù alla fine dei tempi. Un canto del Gen Rosso diceva: “Cosa mai farò quando mi vedrai, quando dai confini del mondo verrai?” Credo che quel momento dipenderà molto dalla relazione che abbiamo con il Signore. Sarà di terrore se non abbiamo potuto costruire una relazione nella fiducia. Sarà di gioia grande se invece lo abbiamo aspettato tanto questo momento di incontro, così come la terra arida aspetta la pioggia.

E che sarà nel cuore del Signore? Mi immagino che Lui ci aspetta, da sempre, e intensamente. Sarà emozionato, griderà e danzerà di gioia, come dice Sofonia. Certamente sarà un incontro di vita, così come l’acqua feconda e fa germogliare la terra. E allora, l’antifona dell’Avvento è proprio felice, e potremo cantarla in ogni istante: “O Cieli, piovete dall’alto, o nubi, mandateci il Santo!”.  

il cactus fiorisce, gridando alla vita


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