Acqua e migrazione
Già due anni fa (ma come passa il tempo???) quando era
uscita l’Enciclica “Laudato Si’” di Papa Francesco, vi avevo parlato dei
“rifugiati climatici”, che sono quelle persone costrette a migrare a causa
delle condizioni ambientali avverse, risultato del cambio climatico in corso.
Oggi ve lo riracconto, però con storie, come è lo stile e la filosofia di
questo blog.
Con un male al collo terribile, a forza di alzare la testa e
lo sguardo a un cielo senza nuvole e senza pioggia, ci dicevamo a fine 2016:
che piova entro inizio dicembre, altrimenti non ci sarà raccolto. Non ha
piovuto, e il raccolto non ci sarà. Oggi ci accontentiamo di dire: “Che piova
almeno per avere un po’ di riserve idriche, altrimenti di che vivremo?”. Ma nel
frattempo la gente inizia a muoversi, alla ricerca di lavoro per poter
sopravvivere e dare da mangiare ai figli. Le scuole nella campagna iniziano a
svuotarsi o a diminuire sensibilmente il numero di alunni. In Vilacaya, 8 in
meno che l’anno scorso, ma sono di più quelli che se ne sono andati, in quanto
sono arrivati nuovi studenti da altre scuole.
Chi va e chi rimane
Al mercato di Tres Cruces incontriamo Maria, una signora
giovane di una comunità che visitiamo regolarmente. Gli anni passati il marito
si era ammalato e lei aveva dovuto muoversi per sbarcare il lunario e per dare
cibo ai suoi 6 figli. La salutiamo affettuosamente, ormai fa parte della nostra
vita e le sue pene sono anche le nostre. “Sono stata in Mendoza e sono appena
ritornata. Lì ho dei parenti. Ho lavorato, ma là la vita è molto cara. Mi
dicevano: rimani qui a lavorare! Ma io ho preferito ritornare.” Magari Maria
dovrà ritornare in Argentina per trovare lavoro, ma è decisa a non rimanere là.
Molti boliviani negli ultimi 50 anni si sono riversati nel paese vicino e sono
riusciti a costruirsi una vita degna. Alcuni sono ritornati e con i soldi
guadagnati – frutto di molto lavoro e molti sacrifici – si sono comprati
un’auto, un pulmino, si sono costruiti la casa, iniziato un’attività nella
terra natale. Oggi non è più così facile: il peso argentino è una moneta
costantemente svalutata, l’inflazione cresce al galoppo, perciò lavorare molto
non significa accumulare per la famiglia in Bolivia, piuttosto arrivare appena
a fine mese.
Bussano alla porta. Vado ad aprire: è il signor Miguel. Era
tanto tempo che non lo vedevamo, sapevamo infatti che era andato con la moglie
in Argentina per lavoro. “Signor Miguel, che piacere! Siete ritornati?”
“Si, ma siamo di nuovo in partenza: ritorniamo in Argentina
e lasciamo qui i ragazzi per lo studio. Sono venuto per parlare al Direttore, e
anche con voi”. L’uomo ha il volto visibilmente preoccupato: certo, lasciare
qui i figli ed andarsene, non è facile. Ma portarseli con sé è quasi
impossibile: con il costo della vita, l’insicurezza sociale che si vivono in
Argentina, e le difficoltà burocratiche per passare la frontiera con dei
minori, fanno sì che le famiglie desistono. Mi dice che sua figlia maggiore si
prenderà cura dei più piccoli. Io gli assicuro che – quando saranno in Vilacaya
per la scuola – staremo loro vicini e ci prenderemo cura di tutti. Anche il mio
cuore è preso da una morsa di tristezza.
Non ci resta che stare vicini a quelli che rimangono, e il
più possibile mantenere un contatto con coloro che se ne vanno. Miguel mi dice:
“Lasciare definitivamente la propria terra, non si può… Ma in questi anni la
situazione è andata sempre più peggiorando…” Sì, dice bene il Papa Francesco:
non si tratta di migranti, ma di veri e propri rifugiati, costretti a lasciare
la propria casa per poter sopravvivere!
Acqua e migrazione
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