A scuola dal deserto (riflessione quaresimale)
Ho sempre detto che vivo nel semiarido andino, ma in realtà,
ogni anno che passa, l’Altipiano si sta trasformando in un deserto. La parola
ebraica per indicare il deserto significa “non parola”, cioè dove non si parla
perché non c’è vita. E sappiamo che nell’Antico Testamento è un simbolo
importante per il popolo di Israele, e per noi cristiani, soprattutto nel tempo
di Quaresima.
Vivo in un deserto, e il deserto mi insegna sempre nuove
cose. Anzitutto, non è vero che è una regione di morte. La vita c’è, eccome! E’
una vita che lotta per la sua esistenza, ma proprio per questo dimostra tutta
la sua forza. Il churqui (leggi ciurchi) e il molle (leggi molie) sono due
alberi che crescono qui, e tutti gli anni, prima che venga la pioggia, sono
capaci di rinnovare il fogliame. Il churqui presenta splendidi, piccoli fiori
gialli, e le sue foglioline verde chiaro dicono che è primavera, in un
paesaggio dalle tonalità marroni.
Prima lezione: anche se la tua vita ti sembra un deserto,
dove bisogna lottare per vivere, ricordati che non è la morte, perché il
deserto è vita, nella sua più cristallina grandezza: la vita è vita, fa
sbocciare fiori anche in mezzo alle rocce.
Il deserto è essenziale: niente fronzoli. Ma sa essere molto
generoso, come lo dimostrano i fiori dei cactus. Si tratta di piante spinose,
apparentemente sempre uguali. Poi appare una gemma, che cresce, cresce, e da un
momento all’altro appare un fiore grande e maestoso. Essenzialità non significa
mediocrità.
Seconda lezione: quando ci spogliamo di tutti gli optional
che appesantiscono il nostro stile di vita, creando sempre più bisogni,
scopriamo l’essenziale e impariamo che la mediocrità alle volte sta nel
bagaglio pesante che ci siamo creati. L’essenziale indica ciò che veramente
conta, ciò per cui investire e scommettere. chi ha poco, dà tutto. Invece chi
ha molto, dà molto poco. Questa è una legge infallibile, e i poveri ce la
insegnano ogni giorno con la loro vita ed il loro esempio. Ed anche il deserto.
Il deserto gioisce per il dono della pioggia: sa che senza
di essa sarebbe veramente la morte. Il deserto sa di dover dipendere dal cielo,
e sembra tendere con tutto il suo essere, nella preghiera per il dono della
pioggia. E quando arriva, allora sembra davvero di sentire le piante e gli
animali gridare di gioia, e persino l’aria assume un’intensità di festa.
Terza lezione: il deserto insegna che non siamo
autosufficienti. Che siamo in tutto dipendenti dal buon Dio. Questo non deve
causare paura, piuttosto fiducia: siamo nelle sue mani, e sono mani di Padre. E
quando riceviamo qualcosa, ci insegna a ringraziare e gioire, anche e
soprattutto per le piccole cose.
E’ il cammino di tutta una vita, poiché la tendenza a voler
controllare tutto, si scontra con l’atteggiamento dell’abbandono fiducioso. E
quando invece pensiamo che tutto ci è dovuto (perché sentiamo che “tutto ruota
intorno a me, in funzione di me…”) ci dimentichiamo la gratitudine e la
riconoscenza.
Che questa Quaresima ci aiuti a crescere in questo, alla
scuola del deserto.
A scuola dal deserto (riflessione quaresimale)
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