2017: odissea nello spazio (del bus)
Questa volta ho
proprio dovuto guadagnarmi l’Argentina: per prima cosa, non mi arrivava il
passaporto, nel quale dovevano appiciccarci uno stampino che attesta il mio
permesso di soggiorno. E siccome ha tardato molto, non ho potuto andare a Isla
de Cañas a visitare la comunità, così come avevamo previsto da tempo. Le
sorelle escono per l’Argentina il venerdì 21 ed io... rimango, sperando che arrivi,
oppure... mi faccio già piani per la mia vita da eremita missionaria...
Il lunedì chiamo
a Migraciones, e mi dice che forse arriva: il corriere non ha ancora portato i
documenti, ma da La Paz dicono che ne hanno mandati vari. Commento questo per
telefono a suor Maria Elena, che già è in Moreno: “Ma perché non vai a Potosì e
aspetti lì. Io sono sicura che è arrivato...” E così, contro il mio stile
calcolatore, cerco Nelino che mi porti a Tres Cruces, e senza avere la certezza
di ricevere il passaporto, me ne vado da Vilacaya con lo zaino pronto per l’Argentina.
Qualsiasi sia la mia sorte, ho amici in città che mi possono accogliere per la
notte...
Ma il passaporto
c’è, e alle 21,30 parto per Villazón: lì arrivo alle 4,40 e alle 10,30 circa il
pulman si muove verso la frontiera. Facciamo relativamente in fretta e senza
problemi: in due ore passiamo il controllo boliviano, l’argentino, quindi i
bagagli, il bus e... alle 14,30 ora argentina ci imbarchiamo per Buenos Aires.
E’ un buon orario, in 24 ore saremo a Liniers, arrivo a casa per un buon
pranzo, una buona doccia e un buon riposo.
In Tres Cruces, a
due ore dalla frontiera, ci ferma la gendarmeria e rimaniamo parecchio tempo
fermi. E’ noioso, ma abbastanza abituale. Poi in Humahuaca ci fanno scendere per
controllare tutte le valigie: anche questo succede spesso. Certo, si perde
tempo, ma che farci... finiscono abbastanza in fretta, e ci fanno risalire.
Quindi salgono quattro gendarmi e si fermano a due sedili dal mio. “Fanno
vedere un pacchetto, lo aprono... e dentro c’é droga!” Il tipo più nerboruto,
biondo come un tedesco che – purtroppo – ricorda un po’ un nazi, mette il dito
sul grilletto della sua pistola, a 40 centrimetri dal mio naso. La coppia che
era seduta lì si spaventa e poi inizia a disperarsi. La signora mi racconterà,
qualche ora dopo, che solo pensava ai suoi otto figli: la più grande di 25
anni, la più piccola di 5. Fanno scendere i due malcapitati e i vicini di
sedile, in tutto sei persone. Li interrogano, quindi con i reattivi dimostrano
che si tratta di cocaina. Ritornano dentro al bus (già sono passate sei ore) e
ci dicono che siamo tutti indagati, che verificheranno gli antecedenti penali
di ciascuno dei passeggeri, le impronte digitali, che il giudice delle indagini
preliminari arriverà solo al mezzogiorno del dì seguente... ed io a ricalcolare
l’ora del mio arrivo... e disperata perché non ho credito argentino e non posso
avvisare le sorelle (Maria Elena mi aveva detto che usciva alle 11 per venirmi
ad aspettare...).
All’inizio non ci
lasciano muovere nemmeno dal sedile, poi ci permettono di andare al bagno uno
per volta, quindi a mezzanotte dicono che possiamo scendere e stare nel
marciapiede davanti alla caserma. Parliamo, parliamo molto tra di noi. Si
tratta di boliviani, alcuni residenti in Argentina, i più giovani nati in quel paese
e di ritorno dalla visita a famigliari in Bolivia. La sensazione che abbiamo un
po’ tutti è che fino a quando solo si ascolta in televisione il problema del
narcotraffico, non ti tocca più di tanto. Ma viverlo sulla propria pelle, è
qualcosa che ti segna: il sospetto ti prende e ti governa, sai che se lasci
incustodito il tuo zaino, qualcuno può metterti la roba dentro... in alcuni
paesi come Colombia, già lo avevo sentito, ma è come rendersi conto che
Bolivia, la nostra cara Bolivia, è in questo giro, sempre di più, in questo
orizzonte di morte... Durante il resto del viaggio, tutti controllano sotto il
sedile, se per caso c’è un altro pacchetto sconosciuto...
Ma c’è anche la
forza aymara e quechua che viene a galla: da apparenti vittime escono fuori i
guerrieri Inca. Ne sono innamorata: i boliviani dell’Altipiano non si lamentano
e perdono poco la pazienza, sembrerebbero passivi, ma in realtà ad un certo
punto esce fuori la loro capacità di superare le difficoltà. “Non vi
preoccupate: oggi è la festa di San Giacomo, no? Lui è giudice giusto, non ci
lascerà senza risolvere il problema. Non dobbiamo avere paura!”
La coppia che si
era trovata il pacchetto di droga sotto il sedile, stava ritornando appunto dal
lago Titicaca dove aveva ballato per il Santo. Ballare nella cultura andina
significa compiere un voto o anche semplicemente pregare. Erano i più convinti
della protezione che avrebbero ottenuto dal Santo così venerato e anche un po’
temuto dalla gente, legato al fenomeno dei fulmini e spesso rappresentato a
cavallo con una spada in mano (tipo Conquistador...).
Ad un certo punto
ci dicono che arrivano i cani antidroga. Mi aspetto che arrivi un Commissario
Rex, o almeno un Lassie... invece arriva una cagnetta obesa e – diciamolo pure –
un po’ bruttina, ma sicuramente che sa il fatto suo: annusa più volte il luogo
dove avevano lasciato il pacchetto, ma non trova altra roba.
Passa il tempo, finiti gli interrogatori tre giovani uomini vengon portati all’ospedale vicino per fare radiografie. Uno di questi ha 116 capsule nella pancia. Rimaniamo di gelo: l’autista dice che negli ultimi tempi moltissima gente sta entrando in Argentina ingurgitando capsule di droga che poi espleta dalla bocca o dall’ano. E’ una tecnica diffusa e famosa, che può anche essere letale: se scoppia nella pancia una di queste capsule, la persona muore. Il tipo era seduto nella mia fila. Alcuni lo avevano visto molto nervoso, altri hanno notato che non ha mangiato. Io che non sono dettaglista non avevo visto proprio niente... Il giovane uomo è stato immediatamente detenuto, e in qualche modo tutti ci siamo liberati dalle indagini. Ma siamo rimasti con dolore pensando a quel giovane... Un altro pugno sul naso, pensare che uno dei nostri, con un volto conosciuto, una presenza seppur passeggera nella nostra vita, proprio una persona in carne ed ossa, è stato il protagonista di questo tragico traffico di morte.
Alle 3.30
ricominciamo il nostro viaggio verso Buenos Aires. Ormai non siamo più gli
stessi in tanti sensi... continuiamo senza intoppi, ma con un ritardo di 10
ore, il tragitto, ed arriviamo a Liniers che già è l’una e mezza della notte.
2017: odissea nello spazio (del bus)
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