Una preghiera messa a prova
Domenica 19
novembre. Le autorità originarie invitano tutta la popolazione di Vilacaya a
salire il Calvario con le statue di San Giovanni e l’Addolorata per chiedere il
dono della pioggia, secondo la tradizione della gente. Il Padre termina la
Messa assicurando che, pregando con fede, arriverà la pioggia.
Già l’anno scorso
eravamo saliti con le due statue, ma quest’anno c’è molta meno gente. Si fanno
pregare i bambini, che – dicono – sono più ascoltati da Dio. “Cristo del cielo,
agua Tatay...” pregano e pregano, fino a stancarsi.
Nel cielo appare
un fronte nuvoloso. Lo guadiamo con speranza. Ma poi arriva il vento e si porta
via le nubi che promettevano pioggia. Le statue rimarranno al Calvario, nella
cappellina, fino alla prossima domenica. Durante tutta la notte le autorità
hanno vegliato come sanno fare: masticando foglie di coca, scaldandosi al fuoco
di un falò le cui ceneri, il giorno seguente, testimoniano la veglia notturna.
L’indomani
ritorno al Calvario per una riunione via skype (quella collina è il mio
ufficio, l’unico posto dove posso connettermi a internet con il portatile) e ne
approfitto per pregare un rosario in ginocchio, davanti alle due statue. Il
cielo non promette nulla di buono, cioè è l’icona della siccità impietosa.
Ritornando a casa, passano i bimbi di prima elementare, ed Eva, una puffetta
che mi arriva appena all’anca, mi dice con un tono serio e un po’ arrabbiato:
“Ieri siamo andati al Calvario. Abbiamo pregato. Mi hanno detto: “Di notte
pioverà”, e non ha piovuto!”
Parole sante. E
vere. Dimostrano come la siccità mette a dura prova la nostra fede. La
prosciuga allo stesso modo di come secca le piantine nei campi. All’inizio di
questa Avvento, quando la liturgia canta e prega: “O cieli, piovete dall’alto
il Santo”, noi, Signore, continuiamo a implorarti la pioggia. Una pioggia che
ridia speranza e un po’ di fede alle vite provate della nostra gente, e anche
le nostre.
Una preghiera messa a prova
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