Tutti a tavola!
La cultura andina è molto diversa
dall’europea, però la gente qui è buona e comprensiva, e ci vuole bene lo
stesso, nonostante siamo degli esseri strani, rispetto alle loro usanze. Ci
sono, però, due regole basiche che non si possono mai e poi mai infrangere, se
si vuole vivere in armonia, soprattutto senza ferire la sensibilità della
gente: la prima: salutare le persone una a una (non esiste il saluto generale)
e sempre; la seconda: accettare sempre il cibo che ti offrono.
Soprattutto quest’ultima è una norma sociale
fondamentale: rifiutare il cibo significa disprezzare la persona. E vi assicuro
che alle volte i piatti sono così abbondanti che non si può inghiottire tutto
quello che è offerto, sebbene la cucina andina è molto buona e sana: è una
legge fisica: ad un certo punto lo stomaco non riesce più a contenere volumi
tanto grandi! Come fare, allora? Grazie a Dio c’è una scappatoia accettata e
praticata da tutti, quechua compresi: si può mettere parte del cibo in una
borsa di nylon e portarselo a casa (il frigo, in effetti, è sempre abbastanza
pieno…). Benedetto l’inventore dei sacchetti di nylon!
Ma prima, come facevano? Mi sono chiesta un
giorno, in un attimo di distrazione. Usavano piccoli aguayos tessuti a mano,
quadrati, gli stessi nei quali i contadini si portavano il pranzo nel campo, e
che adesso, nei funerali, molte famiglie mettono nella bara del defunto, al
quale sempre si dà cibo per il suo nuovo stato di vita.
Quando si visita una casa, il 99% delle volte
si riceve un piatto di minestra o il “mote” (= chicchi di mais bollito, alle
volte con fave e piselli: è il pane quotidiano della gente), soprattutto nelle
case più povere, che danno tutto quello che hanno. Così è anche nelle visite
alle scuole o alle celebrazioni nelle comunità: sempre si conclude con il pasto
offerto dalla gente.
Un giorno, la nostra amica Martina del Centro
dei Bambini ci ha detto: “Pensavamo che eravate arrabbiate con noi, perché non
ci avete portato il cibo della mensa popolare…”. Era il primo giorno della
mensa per gli studenti (vedi post della prossima settimana), la cosa è che
avevamo finito tutto; avevamo una mezza idea di dare al Centro dei Bambini la
minestra, però non avevamo la più pallida idea del significato che questo
dare/non dare poteva avere. Accettare/rifiutare il cibo, come anche
l’offrire/non offrire sono gesti forti che dicono molto di una relazione tra
persone.
Tutti gli eventi sociali culminano con il
pasto, ed il loro successo dipende in gran parte dall’abbondanza del cibo e
dalla sua bontà. Il giorno in cui è venuto l’Ingegnere di Caritas per
concretizzare il progetto dell’acqua potabile, tutte le famiglie hanno
preparato un piatto, e al momento del pranzo, ognuno è passato con la sua
pentola, riempiendo fino all’orlo i piatti. Passa la signora Salomé con una
minestra di quinua, poi – senza aspettare che tu abbia finito il piatto – già
viene la signora Ersilia con la pasta, e poi Antonia con una minestra, questa
volta di zucca: tutto nello stesso piatto, fino a traboccare, con un mix di
cibo che confonde i buoni sapori di ciascuno.
All’Ingegnere, ospite d’onore, la
quantità di cibo offerta è impressionante, come si può vedere dalla foto.
Un’immagine molto interessante e significativa di questo giorno ce l’ha data il
Padre Emilio che, non ancora terminata la riunione, si congeda dall’assemblea,
perché deve scappare a Puna per un altro impegno. Esce dal salone e una fila di
partecipanti esce dietro di lui, tutti molto agitati. Usciamo anche noi, a
incontro terminato, ed ecco che tutta la gente attornia il Padre, offrendogli
il suo cibo: come permettere al Parroco di andarsene, senza che abbia provato
il piatto di ciascuno?
Se nel popolo quechua il cibo ha un valore
simbolico molto forte, dobbiamo pur ammettere che anche noi parliamo con la
cucina: invitare un amicgli o a pranzo, preparare un piatto che piace molto,
non è forse dirgli che gli vogliamo bene?
super piatti per l'ingeniere e il corregidor |
Tutti a tavola!
Reviewed by abconsolata
on
01:30
Rating:
Nessun commento: