Il Padrino
Tranquilli, picciotti: non si parla di mafia in questo
articolo! Vorrei presentarvi, attraverso l’esperienza quotidiana, una
caratteristica molto significativa nella rete sociale quechua: la relazione
stretta tra padrini, madrine, figliocci, compadri e comadri (i genitori del
figlioccio in relazione al padrino/madrina).
La famiglia e la
famiglia allargata
Nel mondo quechua la relazione con la famiglia è molto
forte. Un giorno, la piccola Lourdes ha domandato a suor Gabriella: “Hermanita,
quanti fratelli e sorelle ha la hermanita Stefania?” “Nessuno, è figlia unica”.
E la reazione di Lourdes è stata: “Ma allora, non ha nessuno di cui avere
fiducia!”. E’ nella famiglia che ci sono i legami forti e sicuri, almeno questa
è l’idea/l’ideale: infatti, molte volte nelle famiglie ci sono divisioni,
violenze… come capita in tutte le parti del mondo. Però è anche vero che quando
un membro della famiglia non sta bene o ha un problema, tutti si mobilitano e
fanno viaggi lunghi per poterlo visitare e aiutare. Questo nucleo forte e
solido (che il più delle volte è molto numeroso, con 5, 6, 7 figli), cellula
base della società, si apre e tesse relazioni con altre famiglie attraverso il
“padrinazgo”, il “padrinaggio”. Si tratta della ricerca di padrino e madrina
per i propri figli, sia per il Battesimo, che per altri momenti chiave della
vita della persona: un rito molto legato alle prime fasi della vita, è il
taglio dei capelli: i bambini crescono, così i loro capelli, in modo
indistinto, fino ai 2-3 anni di età. Quindi si fa il rito dei taglio: i
padrini/madrine tagliano una ciocca e danno soldini per il bimbo/bimba, un
piccolo capitale che gli servirà per crescere. E quelli che noi chiamiamo
testimoni di nozze, sono chiamati padrini di matrimonio.
In un tardo pomeriggio, arrivate a casa stanche morte per
l’intenso lavoro pastorale, bussa alla porta Jorge e sua figlia Vanessa, che
dopo pochi giorni avrebbe ricevuto la Cresima. Il papà mi regala delle
pannocchie di mais, e poi mi chiede di essere madrina di sua figlia il giorni
della Cresima. Per varie ragioni ho dovuto dire di no, e il pover uomo ci è
rimasto tanto male, che mi ha fatto soffrire vederlo così. E’ stata
un’esperienza che mi ha fatto toccare con mano l’importanza del padrinaggio.
“Oh” dice sconsolato Jorge “vorrei che tutte le suore fossero mie comadri…”.
Eloy e Teodora, padrini di matrimonio, aiutano a mettere la catena che lega gli sposi |
Entrare o non entrare
in questa rete?
Ho riflettuto molto su questa realtà del padrinaggio,
facendo tesoro di altre esperienze, oltre alla mia: alcune congregazioni
religiose missionarie non accettano di entrare in questa rete di relazioni
particolari, per non lasciare fuori nessuno ed essere, per così dire, “madrine”
di tutti. In Chucuito, parlando con P. Simon Pedro Arnold, benedettino belga
con 30 anni di vita nell’altipiano, mi ha consigliato di non accettare, per il
fatto che noi missionari non sempre possiamo rimanere molti anni nello stesso
luogo. “Io ho fatto voto di stabilità, la mia prospettiva ed il mio desiderio è
morire qui, in Chucuito, perciò accetto con piacere le richieste di essere
padrino, e di fatti ho un sacco di figliocci!” Accettare di esseri
padrini/madrini significa stringere un legame forte che, se non gode della
vicinanza fisica, si impoverisce molto.
Però è un legame con molte conseguenze e le motivazioni per
la scelta del padrino/compadre sono varie: la disponibilità economica (al
padrino/madrina si ricorre in caso di necessità, oltre a sponsorizzare la festa
di cui si accetta il padrinaggio) lo status sociale o un legame significativo
già esistente. Il fatto è che essere compadre o padrino comporta un rapporto
speciale ed esclusivo, alle volte a scapito di altre relazioni, e questo, sì,
può essere controproducente per un lavoro pastorale per tutti.
Il Padrino
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