Festa della donna boliviana
Come capita molte volte durante l'anno, la Bolivia segue un calendario proprio per alcune feste civiche diffuse in tutto il mondo: la festa della mamma è in un giorno fisso (il 27 maggio), la festa della donna l'11 ottobre, anziché l'8 marzo. Il perché di queste date particolari dipende dalla storia stessa del paese: la società infatti vuole ricordare fatti accaduti nella storia recente, o persone notabili: nel caso della festa della mamma, si tratta dell'anniversario della strage di un gruppo di madri in Cochabamba che, per salvare i propri figli, durante le rivolte per l'indipendenza del paese, imbracciarono le armi e resistettero agli spagnoli, cadendo sul campo di battaglia il 27 maggio 1812. Riguardo alla festa della donna, l'11 ottobre ricorda la nascita di Adela Zamudio Ribero, poetessa, scrittrice, maestra e "luchadora social", esponente di punta per la rivendicazione dei diritti delle donne.
I lettori antichi già conoscono il mio debole per le donne boliviane, più precisamente: per le potosine. Sono belle in tutti i sensi, in una maniera tutta speciale. A pochi giorni dalla festa della donna boliviana, vorrei dare alcune pennellate e presentarvi la forza e bellezza delle nostre grandi, piccole, forti, deboli donne. I nomi sono cambiati, per rispetto alle persone in questione.
Iniziamo da Eulalia, una moglie e una madre molto umile, con due occhi profondi che dicono tante cose: un amore grande per i figli, alle volte il senso di solitudine che dà la vita silenziosa e laboriosa dei contadini, dispersi nelle vallate ormai quasi disabitate. All'inizio quasi non ci rivolgeva la parola, adesso ci abbraccia come se fossimo sue sorelle: poco a poco siamo passate dalla timidezza reciproca, ad una grande simpatia, per non dire che la sento mia sorella. Quasi di riflesso i suoi figli hanno lo stesso sguardo profondo e il medesimo silenzio. Eulalia è malata, e ha portato con sé la sua malattia stringendo i denti e continuando la dura vita della mamma contadina. Del resto, senza soldi non si può accedere alle cure mediche di un certo peso. Adesso il male fisico l'ha fermata, è stato più forte della sua forza di volontà. Ha ancora dei figli piccoli, mi immagino il suo cuore di madre come sta, anche se me la penso con quello sguardo profondo e il viso silenzioso, mentre li guarda allontanarsi con le capre, senza esprimere il benché minimo lamento.
Se in un discorso si parla di una donna, e subito non si capisce a chi ci si riferisce, la domanda classica è: "E' una donna in pantaloni o con la gonna?" (es una mujer de pollera o de pantalones?), e con questo si indica una scelta di vita molto concreta. Infatti, le donne che si vestono tradizionalmente (con la gonna a pieghe, il cappello di feltro e le due lunghe trecce) sono generalmente le mamme di famiglie semplici, che vivono nella campagna, ma non solo. Oggi giorno anche alcune parlamentari si presentano con i vestiti tipici delle donne andine, in un contesto di recupero e rivendicazione dei valori tradizionali autoctoni. Le donne in pantaloni sono, per esempio, le professoresse, le infermiere: si tratta di professionali che hanno studiato all'università. Generalmente portano i capelli lunghi come le altre, ma raccolti in un'unica treccia. Ecco, quindi, come "l'abito fa il monaco", in questo caso...
Vorrei parlarvi, dopo una donna "de pollera", di una "donna in pantaloni" che chiameremo Erica. E' un'insegnante, mamma di tre figli. La famiglia risiede in città, ma il suo lavoro la porta nelle campagne, in una delle Scuole di Cristo della nostra zona. Una comunità dove le comunicazioni non sono così facili, alle volte deve fare i salti mortali per avere il segnale del cellulare e poter parlare con i figli in città. Da buona mamma, si preoccupa molto dei suoi piccoli, e preferisce farli studiare in Potosì, dove l'educazione dà maggiori possibilità di studio e approfondimento; da buona insegnante, Erica dà il meglio di sé ai ragazzi della scuola dove insegna, dedicando anche tempo extra. E' proprio in un'occasione come questa che il suo ritorno a Potosì viene ritardato da un'attività pastorale nella campagna. La accompagniamo a Tres Cruces per prendere il pullman che va in città. Appena può, telefona ai figli, e la sentiamo che tenta di scusarsi: i suoi l'aspettano, e sono già un po' alterati per il suo ritardo. Dopo ci confida che è così difficile conciliare il lavoro con la famiglia, tutti gli anni chiede di essere trasferita in città, ma i posti sono tutti occupati, e deve ripiegare sulle cattedre della campagna. Come lei ci sono tante altre mamme prof che vivono lo stesso problema, e a volte la mancanza dei genitori nella loro adolescenza li rende dei ragazzi difficili e ribelli.
Di solito si parla della donna boliviana circa i suoi diritti, le violenze che subisce (purtroppo la Bolivia è uno dei paesi al mondo dove la violenza familiare è più diffusa). Oggi ho voluto presentarvi due casi di donne che lottano per la vita, propria e altrui, poiché la vocazione della donna è proprio questa: portare la vita, custodirla, farla crescere, darle quel tocco di amore che solo una mamma sa dare.
I lettori antichi già conoscono il mio debole per le donne boliviane, più precisamente: per le potosine. Sono belle in tutti i sensi, in una maniera tutta speciale. A pochi giorni dalla festa della donna boliviana, vorrei dare alcune pennellate e presentarvi la forza e bellezza delle nostre grandi, piccole, forti, deboli donne. I nomi sono cambiati, per rispetto alle persone in questione.
Iniziamo da Eulalia, una moglie e una madre molto umile, con due occhi profondi che dicono tante cose: un amore grande per i figli, alle volte il senso di solitudine che dà la vita silenziosa e laboriosa dei contadini, dispersi nelle vallate ormai quasi disabitate. All'inizio quasi non ci rivolgeva la parola, adesso ci abbraccia come se fossimo sue sorelle: poco a poco siamo passate dalla timidezza reciproca, ad una grande simpatia, per non dire che la sento mia sorella. Quasi di riflesso i suoi figli hanno lo stesso sguardo profondo e il medesimo silenzio. Eulalia è malata, e ha portato con sé la sua malattia stringendo i denti e continuando la dura vita della mamma contadina. Del resto, senza soldi non si può accedere alle cure mediche di un certo peso. Adesso il male fisico l'ha fermata, è stato più forte della sua forza di volontà. Ha ancora dei figli piccoli, mi immagino il suo cuore di madre come sta, anche se me la penso con quello sguardo profondo e il viso silenzioso, mentre li guarda allontanarsi con le capre, senza esprimere il benché minimo lamento.
Se in un discorso si parla di una donna, e subito non si capisce a chi ci si riferisce, la domanda classica è: "E' una donna in pantaloni o con la gonna?" (es una mujer de pollera o de pantalones?), e con questo si indica una scelta di vita molto concreta. Infatti, le donne che si vestono tradizionalmente (con la gonna a pieghe, il cappello di feltro e le due lunghe trecce) sono generalmente le mamme di famiglie semplici, che vivono nella campagna, ma non solo. Oggi giorno anche alcune parlamentari si presentano con i vestiti tipici delle donne andine, in un contesto di recupero e rivendicazione dei valori tradizionali autoctoni. Le donne in pantaloni sono, per esempio, le professoresse, le infermiere: si tratta di professionali che hanno studiato all'università. Generalmente portano i capelli lunghi come le altre, ma raccolti in un'unica treccia. Ecco, quindi, come "l'abito fa il monaco", in questo caso...
Vorrei parlarvi, dopo una donna "de pollera", di una "donna in pantaloni" che chiameremo Erica. E' un'insegnante, mamma di tre figli. La famiglia risiede in città, ma il suo lavoro la porta nelle campagne, in una delle Scuole di Cristo della nostra zona. Una comunità dove le comunicazioni non sono così facili, alle volte deve fare i salti mortali per avere il segnale del cellulare e poter parlare con i figli in città. Da buona mamma, si preoccupa molto dei suoi piccoli, e preferisce farli studiare in Potosì, dove l'educazione dà maggiori possibilità di studio e approfondimento; da buona insegnante, Erica dà il meglio di sé ai ragazzi della scuola dove insegna, dedicando anche tempo extra. E' proprio in un'occasione come questa che il suo ritorno a Potosì viene ritardato da un'attività pastorale nella campagna. La accompagniamo a Tres Cruces per prendere il pullman che va in città. Appena può, telefona ai figli, e la sentiamo che tenta di scusarsi: i suoi l'aspettano, e sono già un po' alterati per il suo ritardo. Dopo ci confida che è così difficile conciliare il lavoro con la famiglia, tutti gli anni chiede di essere trasferita in città, ma i posti sono tutti occupati, e deve ripiegare sulle cattedre della campagna. Come lei ci sono tante altre mamme prof che vivono lo stesso problema, e a volte la mancanza dei genitori nella loro adolescenza li rende dei ragazzi difficili e ribelli.
Di solito si parla della donna boliviana circa i suoi diritti, le violenze che subisce (purtroppo la Bolivia è uno dei paesi al mondo dove la violenza familiare è più diffusa). Oggi ho voluto presentarvi due casi di donne che lottano per la vita, propria e altrui, poiché la vocazione della donna è proprio questa: portare la vita, custodirla, farla crescere, darle quel tocco di amore che solo una mamma sa dare.
FELIZ FIESTA, MUJER BOLIVIANA!
Festa della donna boliviana
Reviewed by abconsolata
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